Si tratta di segnalazioni di versi della Divina Commedia citati nella narrativa; i versi, nonché i riferimenti del testo che usa le parole di Dante vanno indicati nei commenti. “Cercar Dante” è rivolto a singoli lettori così come a Scuole, Università, Istituzioni, come ad esempio Biblioteche, Musei e Fondazioni Culturali, e ad altre Associazioni, in particolare agli Amici di altre Biblioteche.
Ogni segnalazione deve contenere le seguenti informazioni:
- il nome e il cognome del segnalatore; qualora si tratti di una scuola, indicazione della classe e dello Istituto Scolastico; qualora si tratti di un’associazione o istituzione, indicazione del nome dell’associazione;
- i versi della Divina Commedia citati;
- il titolo del romanzo o del racconto che usa la citazione: pagina, autore, editore, data di edizione o ISBN.
Riportiamo qui sotto alcuni dei commenti inviati.
Il 4 gennaio 2021 Daniela Amici ci segnala quanto segue:
“Era già l’ora che volge il disio” (Purgatorio Canto VIII verso 1)
Nella trasmissione televisiva “Parla con me” del 30/11/2010 con questa citazione e con riferimento particolare alla parola “disio”, Antonio Tabucchi spiega la parola portoghese saudade: un senso di nostalgia tanto legato al ricordo del passato che alla speranza verso il futuro.
“Era già l’ora che volge il disio” (Purgatorio Canto VIII verso 1)
Nella trasmissione televisiva “Parla con me” del 30/11/2010 con questa citazione e con riferimento particolare alla parola “disio”, Antonio Tabucchi spiega la parola portoghese saudade: un senso di nostalgia tanto legato al ricordo del passato che alla speranza verso il futuro.
Il 10 gennaio 2021 Riccardo Colombo ci segnala quanto segue:
“…dal tuo voler, e sai quel che si tace” (Inferno Canto XIX verso 39)
Questo verso si ritrova in “Casa del Sopravissuto” (verso 36) di Guido Gozzano, come annota Eduardo Sanguinetti in “Poesia Italiana del Novecento” del 1969.
“…dal tuo voler, e sai quel che si tace” (Inferno Canto XIX verso 39)
Questo verso si ritrova in “Casa del Sopravissuto” (verso 36) di Guido Gozzano, come annota Eduardo Sanguinetti in “Poesia Italiana del Novecento” del 1969.
Il 13 gennaio 2021 Livia Caprara fa addirittura una digressione musicale e ci segnala quanto segue:
Franz Liszt (1811-1886) da tempo desiderava comporre una sinfonia basata sulle sue letture dantesche, ma la iniziò solo nel 1855, completandola un anno dopo. L’idea originale di Liszt era di comporre una sinfonia in tre movimenti: Inferno, Purgatorio e Paradiso, ma Richard Wagner lo dissuase dal comporre il Paradiso, in quanto sarebbe stato impossibile descriverlo musicalmente in maniera adeguata. La sinfonia “Eine Symphonie zu Dantes Divina Commedia” pertanto termina con un Magnificat alla fine del Purgatorio.
Franz Liszt (1811-1886) da tempo desiderava comporre una sinfonia basata sulle sue letture dantesche, ma la iniziò solo nel 1855, completandola un anno dopo. L’idea originale di Liszt era di comporre una sinfonia in tre movimenti: Inferno, Purgatorio e Paradiso, ma Richard Wagner lo dissuase dal comporre il Paradiso, in quanto sarebbe stato impossibile descriverlo musicalmente in maniera adeguata. La sinfonia “Eine Symphonie zu Dantes Divina Commedia” pertanto termina con un Magnificat alla fine del Purgatorio.
Il 31 gennaio 2021 Riccardo Colombo ci segnala quanto segue:
“Così per entro loro schiera bruna/s’ammusa l’una con l’altra formica/forse a spiar lor via e lor fortuna” (Purgatorio Canto XXVI versi 34-36)
Questo verso è ripreso da Primo Levi nella poesia “Schiera Bruna” del 1980, come viene segnalato su “La Stampa” del 23 gennaio 2021 da Fabio Levi e Domenico Scarpa in “Formiche verso la morte”.
“Così per entro loro schiera bruna/s’ammusa l’una con l’altra formica/forse a spiar lor via e lor fortuna” (Purgatorio Canto XXVI versi 34-36)
Questo verso è ripreso da Primo Levi nella poesia “Schiera Bruna” del 1980, come viene segnalato su “La Stampa” del 23 gennaio 2021 da Fabio Levi e Domenico Scarpa in “Formiche verso la morte”.
Il 1 Marzo 2021 un Amico della Classense ci segnala quanto segue:
“Te ne porti di costui l’etterno / per una lagrimetta che ‘l mi toglie / ma io farò de l’altro altro governo!.” (Purgatorio Canto V versi 106-108)
Pier Paolo Pasolini cita questo verso in calce alla sceneggiatura di Accattone; per Marco Antonio Bazzocchi (cfr “Dante nel cinema”, Mondadori 2007) questo riferimento alla Divina Commedia spiega la presunta “lagrimetta” che si intravede nell’ultima scena del film, oggetto di numerose critiche. Pasolini prediligeva il Canto V del Purgatorio, come risulta dal carteggio con Cesare Segre: peraltro, quest’ultimo sosteneva che la conoscenza di Dante da parte di Pasolini fosse banale e scolastica.
“Te ne porti di costui l’etterno / per una lagrimetta che ‘l mi toglie / ma io farò de l’altro altro governo!.” (Purgatorio Canto V versi 106-108)
Pier Paolo Pasolini cita questo verso in calce alla sceneggiatura di Accattone; per Marco Antonio Bazzocchi (cfr “Dante nel cinema”, Mondadori 2007) questo riferimento alla Divina Commedia spiega la presunta “lagrimetta” che si intravede nell’ultima scena del film, oggetto di numerose critiche. Pasolini prediligeva il Canto V del Purgatorio, come risulta dal carteggio con Cesare Segre: peraltro, quest’ultimo sosteneva che la conoscenza di Dante da parte di Pasolini fosse banale e scolastica.
Il 11 Marzo 2021 un Amico della Classense ci segnala quanto segue:
“O isplendor di viva luce eterna, / (…) / là dove armonizzando il ciel t’adombra, /quando ne l’aere aperto ti solvesti?” (Purgatorio Canto XXXI versi 139-145)
“S’io ti fiameggio nel caldo d’amore, / di là dal modo che ‘n terra si vede, / sì che del viso tuo vinco il valore, / non ti maravigliar…” (Paradiso Canto V incipit)
Ad entrambi i gruppi di versi fa riferimento Umberto Saba nella sua poesia “Angelo”:
“O tu che contro me vecchio nel fiore / dei tuoi anni ti levi, occhi che all’ira / fiammeggiano più nostra come stelle ,/ bocca che ai baci dati e ricevuti / armonizzi parole, è forse il mio / incauto amarti un sacrilegio? Or questo / è fra me e Di o/ Alto cielo! Mio bel splendente amore!”).
Si tratta di riferimenti individuati da Gianfranca Lavezzi dell’Università di Pavia: “O tu che” compare ben dieci volte nell’Inferno. “Mio bel splendente amore!” , e “armonizzi parole, (…) incauto amarti un sacrilegio?” rimandano appunto al canto del Purgatorio sopra riportato. Invece “fiammeggiano più nostre come stelle” richiama l’incipit del canto V del Paradiso.
“O isplendor di viva luce eterna, / (…) / là dove armonizzando il ciel t’adombra, /quando ne l’aere aperto ti solvesti?” (Purgatorio Canto XXXI versi 139-145)
“S’io ti fiameggio nel caldo d’amore, / di là dal modo che ‘n terra si vede, / sì che del viso tuo vinco il valore, / non ti maravigliar…” (Paradiso Canto V incipit)
Ad entrambi i gruppi di versi fa riferimento Umberto Saba nella sua poesia “Angelo”:
“O tu che contro me vecchio nel fiore / dei tuoi anni ti levi, occhi che all’ira / fiammeggiano più nostra come stelle ,/ bocca che ai baci dati e ricevuti / armonizzi parole, è forse il mio / incauto amarti un sacrilegio? Or questo / è fra me e Di o/ Alto cielo! Mio bel splendente amore!”).
Si tratta di riferimenti individuati da Gianfranca Lavezzi dell’Università di Pavia: “O tu che” compare ben dieci volte nell’Inferno. “Mio bel splendente amore!” , e “armonizzi parole, (…) incauto amarti un sacrilegio?” rimandano appunto al canto del Purgatorio sopra riportato. Invece “fiammeggiano più nostre come stelle” richiama l’incipit del canto V del Paradiso.
Il 14 Marzo 2021 Elena Tenze ci segnala quanto segue in occasione del P-day, la giornata in cui in tutto il mondo celebra il P greco, uno dei numeri più importanti della matematica:
P greco è il rapporto costante tra la lunghezza di una circonferenza e la lunghezza del suo diametro; in formula P greco= C/d. Il valore esatto di questa famosa costante matematica (normalmente approssimata col numero 3,14) è stato oggetto di ricerca fino da tempi molto lontani: lo testimoniano una tavoletta babilonese di Susa (2000 a.C.), il papiro egiziano di Rhind (1700 a.C) e la Bibbia (V sec a.C) che indica, nel libro dei Re, un valore di P greco.
La storia di P greco è lunga ed interessante, coinvolge vari matematici di tutto il mondo, da Archimede ad Eulero, da Al Kwarizmi a Brahmagupta. Sappiamo solo dalla fine del XIX secolo che P greco è davvero un numero particolare, non solo irrazionale, ma trascendente, che contiene infiniti decimali che variano senza schema fisso e che vanno quindi calcolati (se si vuole farlo..) uno per uno.Nel momento in cui scrivo, mi risulta siano state calcolate 31 mila miliardi di cifre decimali, ma certamente questo numero verrà presto superato.Consiglio agli interessati alla storia di P greco (e alla storia della matematica) un piccolo libro divulgativo: “Storia di P greco” (disponibile nella nostra Biblioteca Classense). L’autore è Pietro Greco, giornalista e autore di vari saggi sulla scienza, venuto improvvisamente a mancare la scorsa estate. L’autore sostiene di avere scritto il libro per “dare un senso” alle tante volte in cui, nella vita, si era sentito chiamare scherzosamente P Greco.
Ma, per cercare il legame tra Dante e questa famosa costante, occorre tornare indietro alla Grecia classica, dove la ricerca del P greco era legata al problema della cosiddetta “quadratura del cerchio”. Quadrare il cerchio significava saper costruire un quadrato della stessa area di un cerchio dato, ma utilizzando solo riga non graduata e compasso, gli unici strumenti consentiti dalla geometria “ufficiale”. Quadrare le figure piane era importante, perché consentiva di calcolarne l’area riconducendola al calcolo dell’area di un quadrato; riuscire a farlo con solo riga e compasso era considerato al pari di una corretta dimostrazione, a differenza di costruzioni ottenute con altri strumenti. I Greci erano bravissimi a quadrare figure piane: triangoli, rettangoli, tutti i poligoni e persino alcune figure a contorni curvilinei, ma… non riuscivano a quadrare il cerchio, perché il numero P greco a differenza di tanti numeri irrazionali, non è “costruibile” con riga e compasso. La non costruibilità di P greco è stata dimostrata, insieme alla sua trascendenza, nel 1882.
Dante conosce a fondo il problema della quadratura del cerchio, spesso ricordata anche nelle opere di Aristotele, e se ne serve per l’ultima similitudine della Divina Commedia:
“Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige/ per misurar lo cerchio, e non ritrova,/ pensando, quel principio ond’elli indige, /tal era io a quella vista nova:/ veder voleva come si convenne/ l’imago al cerchio e come vi s’indova”
(Paradiso Canto XXXIII versi 133-138)
Con gli occhi fissi nella luce di Dio, Dante distingue tre cerchi (la Trinità), ed in uno di questi (il cerchio di Cristo) gli sembra di distinguere un’effige umana. Come il matematico cerca il modo di quadrare il cerchio senza riuscirvi, così il poeta cerca di capire come questa immagine umana (simbolicamente il quadrato) possa trovare posto nel cerchio (simbolicamente il divino); come per quadrare il cerchio non bastano riga e compasso, così per comprendere il mistero di Cristo non basta la ragione, e servirà la Fede.
Buon P-day a tutti!
P greco è il rapporto costante tra la lunghezza di una circonferenza e la lunghezza del suo diametro; in formula P greco= C/d. Il valore esatto di questa famosa costante matematica (normalmente approssimata col numero 3,14) è stato oggetto di ricerca fino da tempi molto lontani: lo testimoniano una tavoletta babilonese di Susa (2000 a.C.), il papiro egiziano di Rhind (1700 a.C) e la Bibbia (V sec a.C) che indica, nel libro dei Re, un valore di P greco.
La storia di P greco è lunga ed interessante, coinvolge vari matematici di tutto il mondo, da Archimede ad Eulero, da Al Kwarizmi a Brahmagupta. Sappiamo solo dalla fine del XIX secolo che P greco è davvero un numero particolare, non solo irrazionale, ma trascendente, che contiene infiniti decimali che variano senza schema fisso e che vanno quindi calcolati (se si vuole farlo..) uno per uno.Nel momento in cui scrivo, mi risulta siano state calcolate 31 mila miliardi di cifre decimali, ma certamente questo numero verrà presto superato.Consiglio agli interessati alla storia di P greco (e alla storia della matematica) un piccolo libro divulgativo: “Storia di P greco” (disponibile nella nostra Biblioteca Classense). L’autore è Pietro Greco, giornalista e autore di vari saggi sulla scienza, venuto improvvisamente a mancare la scorsa estate. L’autore sostiene di avere scritto il libro per “dare un senso” alle tante volte in cui, nella vita, si era sentito chiamare scherzosamente P Greco.
Ma, per cercare il legame tra Dante e questa famosa costante, occorre tornare indietro alla Grecia classica, dove la ricerca del P greco era legata al problema della cosiddetta “quadratura del cerchio”. Quadrare il cerchio significava saper costruire un quadrato della stessa area di un cerchio dato, ma utilizzando solo riga non graduata e compasso, gli unici strumenti consentiti dalla geometria “ufficiale”. Quadrare le figure piane era importante, perché consentiva di calcolarne l’area riconducendola al calcolo dell’area di un quadrato; riuscire a farlo con solo riga e compasso era considerato al pari di una corretta dimostrazione, a differenza di costruzioni ottenute con altri strumenti. I Greci erano bravissimi a quadrare figure piane: triangoli, rettangoli, tutti i poligoni e persino alcune figure a contorni curvilinei, ma… non riuscivano a quadrare il cerchio, perché il numero P greco a differenza di tanti numeri irrazionali, non è “costruibile” con riga e compasso. La non costruibilità di P greco è stata dimostrata, insieme alla sua trascendenza, nel 1882.
Dante conosce a fondo il problema della quadratura del cerchio, spesso ricordata anche nelle opere di Aristotele, e se ne serve per l’ultima similitudine della Divina Commedia:
“Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige/ per misurar lo cerchio, e non ritrova,/ pensando, quel principio ond’elli indige, /tal era io a quella vista nova:/ veder voleva come si convenne/ l’imago al cerchio e come vi s’indova”
(Paradiso Canto XXXIII versi 133-138)
Con gli occhi fissi nella luce di Dio, Dante distingue tre cerchi (la Trinità), ed in uno di questi (il cerchio di Cristo) gli sembra di distinguere un’effige umana. Come il matematico cerca il modo di quadrare il cerchio senza riuscirvi, così il poeta cerca di capire come questa immagine umana (simbolicamente il quadrato) possa trovare posto nel cerchio (simbolicamente il divino); come per quadrare il cerchio non bastano riga e compasso, così per comprendere il mistero di Cristo non basta la ragione, e servirà la Fede.
Buon P-day a tutti!